C osa fare in un fine settimana in montagna, quando già il caldo della primavera spinge fuori dalla porta di casa? Semplice, si torna al Gianpace, situato tra la Valle del Goglio e la Val Sanguigno, nella bergamasca. I sentieri che permettono di raggiungere questo rifugio costeggiano e incontrano il torrente Goglio che è il vero motivo per il quale non smetto mai di trovare piacevole questo percorso. Il torrente infatti ha creato dei secoli dei bellissimi giochi d’acqua naturali, scavando le rocce, creando cascate incredibili e pozze di un azzurro caraibico. È un sentiero che è però preferibile non affrontare nel tardo autunno-inverno poiché risulterebbe tutto in ombra e il rischio di ghiaccio lo renderebbe pericoloso, già noi lo abbiamo percorso in tarda primavera e abbiamo incontrato – per gioia di Loki – la sua ultima neve.
A un’ora e mezza circa da Milano, direzione Valgoglio (inserite Centrale di Aviasco nel navigatore, si posteggia prima della centrale Enel). Il posteggio è raggiungibile dopo aver percorso una strada decisamente stretta, quindi non temiate di aver imboccato la via sbagliata, comunque passato il centro abitato di San Rocco, tenete la sinistra e vedrete molti cartelli a indicare l’inizio dei sentieri. Il posteggio è a pagamento, ma poco prima dell’imbocco della via ve ne sono di liberi, contate però almeno una quindicina abbondante di minuti prima dell’inizio effettivo della passeggiata.
Ora, passata la centrale ci si trova a un bivio prima di un ponte in cemento, davanti abbiamo due scelte: Sentiero Normale – Sentiero Ripido. Entrambi raggiungono il Gianpace, grossomodo nello stesso tempo. Noi, dato che siamo amanti dei giri ad anello che ti permettono di vedere paesaggi diversi nella stessa escursione, puntiamo al sentiero ripido per salire e a quello normale per scendere, quindi al bivio prendiamo la sinistra e iniziamo a salire. Il nome assegnato al tratto di sentiero è corretto, il ragazzo tira, si arrampica su nei boschi, ti fa respirare a pieni polmoni i profumi del sottobosco perchè il fiato e il cuore vanno a mille. Capiamo che siamo comunque fuori forma, ma ormai abbiamo scelto quella via e non si torna indietro.
Ammetto che in alcuni momenti avevo anche io il fiatone, ma il vantaggio di essere sempre il primo è di potersi riposare mentre gli altri ti raggiungono. Così mentre vedo i miei umani che arrancano, rossi in viso e sudati in maniera imbarazzante, io mi godo la frescura delle foglie umide.
Il primo tratto è veramente impegnativo, ma alla prima radura, raggiunta “Baita del Sersen” (m. 1075), una bella baita in pietra, con una vista incredibile che ti fa pensare di fare quella vita sempre. Alcune panche di legno invitano a una pausa, e poco più avanti un barbecue di quelli da montagna vera ti fa immaginare che fantastiche grigliate verrebbero fuori in un posto del genere, poi ti ricordi che tutto questo è un sogno in parte dovuto alle gambe pesanti della salita. Ci rimettiamo in marcia con ancora il profumo delle salamelle immaginarie nel naso. Rientriamo nel bosco e ci troviamo vicini al torrente che ci siamo lasciati alle spalle quasi subito, ora lo vediamo scorrere tra gli alberi in basso e il suo ruggito ci accompagna fino al rifugio. Si arriva presto a un bivio in cui è necessario ignorare il sentiero che svolta a sinistra quasi in piano – che è decisamente più attraente – e scegliere la destra in salita e sì, si prosegue ancora in salita, in modo abbastanza ripido con delle serpentine mentre il torrente forma una serie di incantevoli giochi, tra cui una meravigliosa cascata. Il sentiero sale e noi veniamo aiutati da alcune radici affioranti che fanno da gradinata naturale. Poco dopo raggiungiamo il “Sentiero Normale” (m. 1140) con il quale proseguiamo fino al rifugio, da qui sempre costeggiando il torrente che regala a ogni svolta uno spettacolo meraviglioso.
Finalmente ho il torrente a portata di zampa, appena riesco mi ci tuffo e… come dicono gli umani, ho perso dieci anni della mia vita! La corrente! Non avevo considerato, e non sapevo neanche esistesse fino a questo momento, una cosa del genere! Ho temuto di essere trascinato via e avevo già visto il mio umano togliersi lo zaino e raggiungermi, per fortuna sono riuscito da solo a uscire… mai più, regola base dei torrenti in montagna: andarci piano!
Dopo il lieve – ironico – spavento di perderci il lupetto giù per una cascata, dopo circa un’ora e dieci-venti minuti in base al numero di pause acqua – cioccolato, arriviamo al Rifugio Gianpace. È bene che sappiate che i paesaggi più belli però sono quelli che si possono vedere aggiungendo una mezzora ancora di cammino e proseguendo sul sentiero che volta a destra rispetto al rifugio, prima di attraversare il ponte sul torrente che vi porterebbe sul versante “giusto”. Il sentiero sale gradualmente, ma senza le salite che abbiamo affrontato finora, quindi è più rilassante da affrontare. Qua e là macchie di neve ci accolgono e fanno impazzire Loki che dava ormai per persa quella magica sostanza.
Qualcosa in me mi dice di approfittarne, è l’ultima, è l’ultima neve. E io non mi faccio pregare, la stanchezza della salita è presto dimenticata, il fresco della neve tra le zampe mi ricarica e corro avanti e indietro sotto gli sguardi divertiti – e invidiosi – del mio branco.
Proseguiamo con Loki completamente impazzito fino al bivio per il Rifugio Laghi Gemelli, Rifugio Lago Nero e Val Sanguigno o Monte Zulino, teniamo la sinistra e scendiamo al fiume dove pranziamo, mentre Loki gioca nel torrente, ruba calzini e cerca di rubarci la pizza.
Mi era rimasta addosso una certa energia invernale, che aiutata dall’acqua del torrente mi ha reso – ammetto – un po’ insopportabile durante la pausa pranzo.
Torniamo poi sui nostri passi sul sentiero per il rifugio, tutto è tranquillo, poche persone, pochi animali in giro… peccato che Loki riesca a trovarne un pezzo di questi animali che iniziano a gironzolare con la primavera. Prima che potessimo fermarlo afferra una zampa di capriolo lasciata da qualche suo collega selvatico e corre via. Quindi la scena che si presenta a un eventuale osservatore esterno è alquanto comica e vede due umani nell’inutile intento di togliere un premio così ambito a un lupetto che oltre a essere decisamente più energetico e agile della componente bipede, ha preso questa situazione come un bellissimo gioco.
Aveva ancora del pelo attaccato, profumava di selvatico, di caccia… era bellissimo, e volevo condividerlo con il branco, ma lo sapevo, lo leggevo nei loro modi di fare che me lo avrebbero rubato, ma non per lanciarmelo e giocare, no… non me lo avrebbero ridato, così ho iniziato a scappare, ma poi mi hanno fregato con un biscottino!!!
Non ricordo esattamente come siamo riusciti a convincerlo a mollare l’osso, ricordo solo che poco dopo, all’altezza del ponte che porta al rifugio, Loki legato al guinzaglio per fare passare tranquillamente un gruppo di ragazzi che avrebbe tranquillamente seguito dato che lo avevano riempito di coccole, ritrova il resto dello scheletro e la scena di prima non si ripete solo perchè già sotto custodia preventiva. Scendiamo e quando raggiungiamo il bivio dove prima dal sentiero ripido avevamo raggiunto quello normale teniamo la destra e scendiamo con più tranquillità, di tanto in tanto infatti la discesa è agevolata da una serie di gradoni di legno e pietra. In circa un’ora e mezza siamo di nuovo alla centrale Enel.
Il sentiero in sé è breve (tre ore abbondanti tra andata e ritorno), ma a tratti intenso, è quindi un bene valutare il proprio livello di allenamento o aggiungere qualche manciata di minuti a salita e discesa, sopratutto se si valuta di farla come gita in giornata, si presta molto a pause qua e là soprattutto per ammirare che paesaggio ha creato il torrente con la sua corsa. Come mi hanno sempre detto i miei, ognuno in montagna ha il suo passo, l’importante è arrivare.