In direzione rifugio Bietti – Buzzi

Il branco di oggi è particolarmente numeroso e una volta arrivati tutti al punto di ritrovo partiamo in direzione Lecco, obiettivo di oggi: il rifugio Bietti-Buzzi nel Parco delle Grigne. Armati di pazienza e un po’ di ansia da terrorismo psicologico sulle condizioni della strada per colpa di chi del branco ci era già stato, ci mettiamo in viaggio. Alcuni accorgimenti post-gita: l’uscita dalla Milano-Lecco “Esinio Lario” che dovrete imboccare per raggiungere la località Cainallo da cui poi si raggiunge il parcheggio, è un incubo da azzeccare. Mettete il navigatore, okay, ma sappiate che è necessario passare Lecco e che è subito dopo una galleria, quindi quando il navigatore vi darà 3-4km dall’uscita, concentratevi e tenete subito la destra perchè il telefono non prende per niente e se doveste perderla, fare tutto il giro vi costerà circa 25km… e non è poco! Se sarete abbastanza abili da non sbagliare, sarete quindi a metà dell’opera, l’altra metà sarà raggiungere il parcheggio. Dall’uscita della superstrada vi attende una mezzora (più o meno, dipende da traffico e tipo di guida) di tornanti prima di mettervi in marcia; quindi se soffrite l’auto, sappiate che sarà un periodo intenso. Arriverete (senza praticamente svolte, ad eccezione di una dove seguirete Esinio Lario – Cainallo) ad un parcheggio dal quale vedrete i prati dell’ex impianto di risalita, lì munitevi del ticket del parcheggio – 4 euro tutto il giorno (anche se non sembra possibile, fioccano multe) e proseguite poi fino al termine della strada – ATTENZIONE: l’ultimo tratto è proprio aggressivo! È infatti la classica stradina di montagna dove ogni vostra cellula spera che non arrivi un’auto dal senso opposto perchè non c’è alcuno modo di passare entrambe!

Ad eccezione di chi guida, eventuali passeggeri avranno già notato il paesaggio: rude, roccioso e mozzafiato. Il parcheggio è già a 1400m grossomodo e da lì si sale fino ai rifugi. Partono molti sentieri da qui, quindi sappiate che avrete molta scelta! E prima o poi torneremo per raccontarvi anche degli altri… noi oggi abbiamo preso il 25 fino al bivio che porta al Bogani e da lì abbiamo seguito il 24 fino al Bietti-Buzzi. 

Finite le informazioni di routine, arriviamo al punto: questo percorso è incredibile, ma poco adatto a chi soffre di vertigine! L’orrido che si apre sulla sinistra – salendo – toglie il fiato, il sentiero si inerpica per alcuni tratti anche in maniera importante, ma si ha costantemente la sensazione dello spazio intorno e il paesaggio alterna boschi fitti di faggi dalle maestose radici, a scarpate ripidissime e scorci sulle cime che non possono far altro che emozionare. 

Qui si che dovevo stare attento!!! Oggi poca esplorazione dei boschi, appena mi affacciavo sul limite del  sentiero sotto le zampe non c’era più nulla e vedevo fino in basso… ma tanto in basso!!! Mai fatta una montagna così prima!

La passeggiata prosegue tra salite abbastanza dure e tratti in piano, così – chi più velocemente, chi meno – si sale e si ammirano i paesaggi che cambiano con l’altitudine. Dopo una piccola ferrata in cui è necessario prestare attenzione in generale e in particolare se canino-dotati

Non ce l’ho fatta… dovevo vedere cosa c’era sotto!!! Eh sì, lo ammetto… un po’ sono scivolato, ma solo un po’… fatto sta che mi sono preso un po’ di insulti, c’era addirittura nonna che mi diceva di averle fatto prendere un infarto… ma con quattro zampe, si va via tranquilli!

Arriviamo poi abbastanza trafelati al bivio, ma i tratti più ripidi ci stavano ancora aspettando. Prendiamo il 24 per il Bietti-Buzzi, il sentiero che si arrampica sulla destra e “si arrampica” in questo caso non è solo un modo di dire poiché bisogna svalicare nell’altra valle e così facciamo affrontando stoicamente i gradoni che ci troviamo davanti, tra un sospiro per calmare il fiatone e una pausa qua e là. Lo spettacolo che ci aspetta una volta raggiunto il passo è incredibile: i boschi hanno lasciato lo spazio a pascoli punteggiati di pini imperterriti, alcuni ghiaioni mutano l’andamento verde della valle irrompendolo con i loro grigi, ma sopratutto, di tanto in tanto, si possono vedere degli spuntoni di roccia innalzarsi verso il cielo come fossero installazioni d’arte contemporanea. Torniamo a concentrarci sulla strada e in lontananza vediamo già la star di questo sentiero: la Porta di Prada. Un arco naturale meraviglioso che si staglia sull’azzurro del cielo e dimostra come la natura sa essere una grande artista. La raggiungiamo con un piacevole falsopiano e incrociando una bellissima chiesetta alpina (dedicata alla 89° Brigata Poletti). Prima di arrivare davvero alla Porta di Prada viviamo qualche istante di tensione dovuto a un gregge in spostamento lungo il sentiero e sia Utah che Loki sono stati redarguiti a proposito, chi con più o meno effetto… indovinate chi è stato riacchiappato al guinzaglio? 

È veramente inconcepibile che non mi si lasci tranquillo di conoscere altri animali… va bene che c’era anche quel tale, Lucky, il cane pastore, che aveva messo ben in chiaro – come il suo collega maremmano poco prima – che non gradivano molto la mia presenza, ma anche il guinzaglio? Siamo seri… ma di cosa stiam parlando? 

Chiusa la parentesi ovina, raggiungiamo la bocchetta e… ci avremmo passato la giornata! Ma, dato il ragguardevole numero di persone che continuiamo a incrociare lungo il sentiero, fare delle foto sotto e intorno a questa meraviglia della natura, diventa presto estremamente complesso e ad un certo punto dobbiamo desistere e riprendere il cammino, ritenteremo al ritorno. 

ps: sfortunatamente la presenza di tante persone non solo lascia poco tempo meditativo e contemplativo, ma spesso ci si sente incalzare lungo il sentiero dagli “atleti” che frequentano le montagne… e pur di non creare impedimento ci si ferma, si lascia passare, si aumenta il passo con un certo disagio… insomma, noi si è per il quieto vivere, anche e soprattutto in montagna!

Si continua, lasciandoci la Bocchetta alle spalle, su un sentiero che illude che ormai il peggio è passato, illude e basta, perché ancora qualche sorpresa in salita ce la riserva, ma il tutto si annulla nel paesaggio che ci circonda. Superata quella che è davvero l’ultima salita, dopo un saliscendi che non lascia presagire nulla di buono per le gambe del ritorno, davanti a noi si apre uno scenario unico con la vista che spazia sull’anfiteatro naturale del Releccio dove al centro finalmente si vede il rifugio. 

Okay, qui ammetto di aver perso parte del branco, nonna ed Eli erano troppo indietro e mi sono perso dietro a Utah ad esplorare i prati alpini che hanno dei profumi pazzeschi… poi però Japo mi ha tranquillizzato e di lì a qualche minuto sono riapparse tutte e due, per fortuna… iniziavo a essere un po’ agitato. 

La giornata è abbastanza limpida, ma non perfettamente tersa quindi non vediamo alla perfezione lo spettacolo che questo luogo offre, sappiate che se non c’è neanche una nuvola e se il cielo è perfettamente limpido tanto da vincere anche il grigiore tipico della Val Padana, sarà possibile ammirare le Alpi Svizzere dell’Oberland, il Monterosa e il Monviso

Il rifugio è decisamente meno affollato di quanto lasciavano presagire le auto al parcheggio, ma è comunque abbastanza pieno da far aspettare quasi mezzora parte del nostro branco in attesa del pranzo, che, fortunatamente, si rivela all’altezza delle aspettative sulla cucina da rifugio: casalinga, di buona qualità e dai sapori decisi e senza fraintendimenti gourmet. Ci godiamo qualche minuto di quiete che sarebbero stati decisamente di più se non avesse avuto luogo la classica magia della montagna: il cielo, prima limpido con solo qualche nuvoletta di passaggio, improvvisamente diventa grigio e le nuvole prendono a mangiarsi le vette fino a raggiungere il sentiero e giù, verso valle. Così anche noi decidiamo di seguirne l’esempio e torniamo sui nostri passi fino a valle, ammirando ciò che non avevamo visto all’andata, grotte nascoste sulle cime, piccoli boschetti di abeti e scorci incredibili. Il ritorno ha sempre con sé quella strana velocità, una nostalgica stanchezza e – ovini e incontri insoliti di proprietari di cani un po’ ansiosi a parte – procede tranquillo fino al parcheggio. 

Due note veloci, giusto perchè me le avete chieste: 

Punto primo: le pecore… sono stato bravissimo, senza neanche il guinzaglio – e nonostante il maremmano dovesse per forza chiarire ancora il concetto – ho fatto quello che mi chiedeva la mia umana, ricordarmi a quale categoria appartengo: “Pastori e Bovari” anche se lei non si spiega come ci sia finito;

Punto secondo: Abbiamo incrociato il sentiero con questa cagnolina un po’ nevrotica, che assomigliava molto alla padrona, e faceva un sacco di scene se mi avvicinavo troppo, ma dopo che l’ho lasciata in pace e sono tornato dal mio branco, sono tornati tutti a rilassarsi…

Alcune considerazioni finali: il sentiero non è eccessivamente impegnativo, ma consigliamo comunque di fare almeno un paio di uscite prima, giusto perché non sia proprio la vostra prima uscita; le salite sono salite vere e a  differenza di altri percorsi, non ci sono alternative e sarebbe un peccato rovinarsi una gita come questa per colpa di un mancato allenamento, anche perchè non ne serve uno agonistico, anzi. Non abbiate fretta, non avrebbe senso! Portatevi comunque – anche se in piena estate – una giacca o una felpa, si sale tanto e le vette sono meteorologicamente schizofreniche. Tempisticamente parlando, in tutto tra andata e ritorno, con pausa pranzo, ci abbiamo impiegato circa 4 ore, consideratela quindi una passeggiata da tutto il giorno visto che anche il tratto in auto – se arrivate da Milano – è di un’ora e mezza senza traffico. Sentiero perfettamente adatto ai cani, ma che siano un minimo abituati all’ambiente montano, in alcuni tratti c’è il vuoto accanto al sentiero ed è bene tenerli al guinzaglio se non siete certi del loro equilibrio o della loro consapevolezza della montagna, ultima nota, non c’è acqua lungo il percorso, ma basta partire organizzati.